
Ne parlano perchè in questi giorni tutti i tamburi della retorica di sinistra hanno rullato, con grande strepito catodico e mediatico, per annunciare agli italiani il grande ritorno di Enzo Biagi alla Rai.
Sì, l’esule tornerà a Rai3 e avrà un suo programma. Il contratto è pronto e il giornalista afferma di gradire molto la collocazione che gli si offre: "La terza rete – si è affrettato a dichiarare – è quella che più mi assomiglia".
Sarà per la faziosità politica dell’intonazione, che valse a Rai3 l’appellativo di Telekabul?
Il programma sarà giudicato quando andrà in onda (come quello di Santoro che è un vero flop malgrado il batage pubblicitario) adesso interessa soltanto sottolineare che il ritorno di Biagi è stato presentato come la riparazione di un intollerabile torto storico: si avalla la leggenda metropolitana secondo la quale il giornalista fu epurato col "diktat bulgaro" che Silvio Berlusconi avrebbe emesso, con una dichiarazione fatta appunto a Sofia, nell’aprile del 2002.
Ebbene, questa versione del caso Biagi è assolutamente falsa, inventata dalla sinistra soltanto per gridare al regime che non c’era. Una versione che Biagi ha sostenuto per un certo periodo, per vestire i panni del martire che non è stato. E per smontare questa tesi sono sufficienti dichiarazioni che lo stesso Biagi ha fatto e che è utile ricordare per non assecondare il vizio italiano dell’interessata smemoratezza.
Maledetto Auditel
Agli inizi del 2001, Enzo Biagi conduceva su Rai1 un costosissimo programma della durata di sei minuti: due miliardi l’anno di compenso per il giornalista, un ufficio privato, una redazione "dedicata", che cioè lavorava soltanto per lui, per realizzare le sue schede e le interviste. Naturalmente per Biagi c’erano soltanto lodi e riguardi, ma il programma in realtà poneva qualche problema serio ai dirigenti. Innanzitutto, perdeva ogni sera una decina di punti di audience rispetto al diretto concorrente Canale 5 che schierava "Striscia la notizia". L’Auditel è una brutta bestia, perché i suoi verdetti si riflettono subito sugli introiti pubblicitari.
C’era anche un problema politico, perché Biagi quando già si era in campagna elettorale parteggiava apertamente per l’avversario di Silvio Berlusconi e non perdeva occasione per attaccare il leader del centrodestra. Memorabile l’invito di Biagi a Roberto Benigni il GIORNO PRIMA del voto, con il comico che dichiarò apertamente di parteggiare per Rutelli. "Berlusconi non mi piace – disse – Rutelli sì". Anche nella Rai di sinistra, che schierava nello stesso periodo Michele Santoro e Daniele Luttazzi, a qualcuno poteva apparire eccessivo l’attivismo fazioso di Biagi.
Le elezioni le vinse Berlusconi e agli inizi del 2002 i dirigenti Rai, preoccupati anche dalle accuse provenienti dalla sinistra di voler aiutare gli ascolti Mediaset, offrirono a Biagi un’altra collocazione, per evitare che la frana di audience nella fascia pre-serale di Rai1 continuasse. Offrirono al giornalista un programma biennale, con dieci puntate in prima serata e venti puntate storiche da mettere in onda in seconda serata.
L’11 aprile del 2002 Biagi indisse una conferenza stampa per annunciare che accettava la nuova proposta e con leggera spocchia disse: "Non ho problemi di orario posso fare un programma anche a mezzanotte".
Il 18 dello stesso mese di aprile Berlusconi, a Sofia, rispondendo a precise domande dei giornalisti, dichiarò:" Santoro, Biagi e Luttazzi hanno fatto un uso della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, criminoso".
Scoppiarono aspre polemiche, ma Biagi andò avanti col suo programma, e con la sua intonazione faziosa, fino alla scadenza naturale, 31 maggio 2002.
Professione martire
Finita la trasmissione e incassati i due miliardi, Enzo Biagi decise di vestire i panni del martirio e di rifiutare l’offerta che l’11 aprile aveva detto di voler accettare. E sdegnosamente, in un’altra conferenza stampa, annunciò così il suo gran rifiuto: "Non sono un uomo per tutte le stagioni" alludendo al trasferimento su Rai3, non alla vicenda di Sofia. Tuttavia, la Rai gli fece un’altra offerta, quella di riproporre sulla Terza rete "Il fatto", lo stesso programma che aveva realizzato per Rai1. Nessuna censura, massima libertà, sarebbe stato il Biagi di sempre. Ma una lettera del legale del giornalista notificò alla Rai il rifiuto di questa seconda offerta. Probabilmente non piaceva la collocazione oraria ( tra le 18,53 e la messa in onda del tg delle 19), oppure veniva giudicato scarso il compenso (inferiore a quello pagato per i sei minuti su Rai1); o, forse, a quel tempo Rai3 a Biagi non sembrava molto "somigliante". E comunque il giornalista veniva presentato come un epurato, un’icona della sinistra che non si fermava davanti a nessuna menzogna per sostenere che quello del centrodestra era un "regime liberticida".
Soddisfatto e rimborsato
In realtà l’epurazione non ci fu ed è stato lo stesso Biagi a dichiararlo. Si concluse felicemente, infatti, la trattativa fra il giornalista e la Rai.
A Biagi andò una buonuscita di un miliardo e mezzo; la separazione, come risulta dall’accordo ufficiale firmato dal giornalista, fu "effettuata con il pieno consenso dell’interessato e con di lui piena soddisfazione". Ancora più in là andò lo stesso Biagi che il 3 gennaio 2003 dichiarò all’Ansa: "Non sono stato buttato fuori, al contrario ho raggiunto di mia iniziativa un accordo pienamente soddisfacente che gratifica sotto tutti i profili, morali e materiali, i miei 41 anni dedicati alla Rai".
Questi i fatti, nella loro essenzialità. Ma la leggenda metropolitana dell’epurazione procede sulle ali della propaganda menzognera.
Ma questa volta a Biagi oltre ai miliardi, piace anche Rai3.
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