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28 dicembre 2006

I SOLDATINI DI PIOMBO DEL PRODINO... COME SI DIVERTE A GIOCARE, PERO'...


ABETE LUIGI
Ha tremato, ha sudato e alla fine è dimagrito. Per Luigino Abete, esponente della "lobbycontinua" romana, il 2006 è stato un anno in salita. La scalata dei francesi di Bnp Paribas ha rischiato di farlo saltare dalla poltrona di presidente della banca di via Veneto. Solo dopo che i francesi gli hanno chiesto di rimanere al vertice dell'Istituto, Luigino ha tirato un sospiro di sollievo. Al ruolo di banchiere si è affezionato e gli piace quel compenso da un miliardo di vecchie lire che rappresenta una ragione di tranquillità. Alle sue spalle c'è un'esperienza di piccolo imprenditore che ha ereditato dal padre Antonio una tipografia privilegiata nella stampa dei biglietti per le Ferrovie. Ha studiato al liceo Massimo (lo stesso di Mario Draghi e di Luchino di Montezemolo) e dei Gesuiti conserva i tratti e la falsa modestia. Oltre alla carica di presidente di Bnl, è presidente dell'Unione Industriali di Roma, una poltrona alla quale dedica scarsa attenzione. Ciò che gli interessa è soprattutto la politica e la cordata che lo vede legato al giro di Dieguito Della Valle, Franco Bassanini e WalterEgo Veltroni. Il sogno della sua vita è quello di arrivare in Campidoglio. Dovrà aspettare.
ARPE MATTEO

L'inventore della fisiognomica Kaspar Lavater, avrebbe potuto scrivere su quest'uomo un trattatello divertente. Matteo Arpe (per gli amici Matteuccio) appartiene infatti a quella categoria di persone che per i tratti somatici restano ragazzi durante tutta la vita. E' il più giovane banchiere italiano (42 anni) ma la convivenza con Cesarone Geronzi e con le grandi partite della finanza lo ha incallito. Il 2006 non è stata una passeggiata per l'amministratore delegato di Capitalia che si è laureato alla Bocconi nell'87 e ha bevuto il latte di Mediobanca fino al 2000. Matteuccio si è trovato a dover fare i conti con vicende impreviste quale l'interdizione di Geronzi dall'esercizio della presidenza, e ha cercato di difendere il lavoro di questi anni. La fusione tra BancaIntesa e SanPaolo è caduta come un fulmine a ciel sereno e in quei giorni difficili ha cercato di difendersi come meglio poteva. Qualcuno ha sussurrato che fornicasse con i soci olandesi di Abn Amro, ma le voci sono rientrate di colpo quando Cesarone Geronzi è ritornato sulla plancia di comando. Tra i due si è giocata nel 2006 una partita freudiana: il grande vecchio non ha perso smalto e visione strategica; l'eterno giovane ha messo sul piatto il valore patrimoniale della banca che ha rivoltato come un guanto. Tra una partita di calcetto e un weekend nell'alto Lazio con il suo amico Puri Negri, Matteo Arpe cerca di capire il suo futuro. Sembra che la sua frase preferita sia: "the game is over", il gioco è chiuso. In realtà è più aperto che mai.
BAZOLI GIOVANNI

Gli aggettivi si sprecano: è il Picasso della finanza, il Mozart dell'economia, il Cuccia-bianco della cattolica provincia bresciana dove la Dc non tramonta mai. Chi più ne ha più ne mette per definire Abramo-Bazoli, mistico, ieratico, grande tessitore di strategie. Per questo avvocato che fu chiamato all'inizio degli anni '80 a risanare il Banco Ambrosiano dopo la P2, è stato un anno di grande fulgore. La mossa vincente l'ha fatta nel mese di agosto dopo aver ricevuto da Cesare Geronzi uno schiaffo d'orgoglio. Alla mancata fusione con Capitalia, che il bresciano pensava di incorporare dentro BancaIntesa, è seguito il banchetto della Sant'Intesa. Mentre gli uomini della finanza stavano con il piede a mollo nelle acque della Sardegna, Bazoli ha preso a dialogare con il massiccio Enrico Salza e lo ha convinto a portare il SanPaolo, più bella banca italiana, in bocca a BancaIntesa. I lavoretti di contorno sono stati affidati ad Alfonso Iozzo e a Corrado Passera, ma il capolavoro l'ha fatto lui creando d'un sol colpo la prima banca italiana. L'uomo è furbo e dietro il profilo biblico nasconde la convinzione di essere il più intelligente d'Italia. Etica e mercato, religione e politica: sono questi i territori nei quali si muove con disinvoltura considerando Prodi una sua invenzione. Con falsa umiltà ha dichiarato in ottobre che "non è più tempo di leader fuori dai partiti". La frecciata era indirizzata a Berlusconi e a quelli come Luchino di Montezemolo e Mario Monti che pensano di sacrificarsi per la politica. In realtà Abramo-Bazoli è convinto che un leader fuori dai partiti ci sarebbe. E' nato a Brescia, ha 74 anni ed è stato amico di Papa Montini.
BENETTON ALESSANDRO

Ha aspettato a lungo, troppo, adesso è arrivato il suo momento. Per l'erede dei fratelli Benetton il 2007 sarà l'anno della sfida. Si è scaldato i muscoli a bordo campo per troppi anni; ha giocato con la Formula1 e ha messo al mondo i figli con Deborah Compagnoni. Gli esami sono finiti e per questo 42enne dorato che assomiglia a John John Kennedy è l'appuntamento della verità. Il padre Luciano gli ha passato il testimone alla testa della Holding di famiglia, e lo zio Gilberto si sta ancora leccando le ferite per il modo disastroso con cui ha gestito la vicenda Autostrade-Abertis. Quello dei Benetton è diventato un impero che dai gomitoli di lana è passato alle utilities con enormi plusvalenze. Il disegno industriale non è chiaro e il mondo politico guarda questa famiglia di Treviso con una certa diffidenza. Hanno i piedi in troppe scarpe, hanno le tasche che grondano di denari: dove vogliono arrivare? La risposta dovrà darla John John Benetton.
BERNABÈ FRANCO

Il suo nome salta fuori quando si libera una poltrona ed è un po' triste vederlo associato al mercatino del sottogoverno. Franchino non ama i riflettori e da quando ha lasciato l'Eni e TelecomItalia, ha fatto una scelta di vita diversa. Gli piace l'estero, gli piace la Cina dove è entrato nel board della prima compagnia petrolifera, gli piace la banca (soprattutto la Rothshild che lo ha preso come vicepresidente per l'Europa). Ha tentato di mettere in piedi un'attività privata nel mondo Internet che finora non gli ha dato grandi soddisfazioni economiche, ma il mondo Fiat e il giro di Palazzo Chigi lo considerano una riserva preziosa. Prima o poi risorgerà.
BOERI TITO

Lo chiamano il Tom Cruise della Bocconi per il volto da ragazzino e il sorriso con cui accompagna le stilettate intellettuali. Gli piace bacchettare gli sprechi della pubblica amministrazione, le arretratezze del sistema creditizio, e il riformismo mancato del suo collega economista Tommaso Padoa-Scoppia. Ma la vera missione impossibile di Tito Boeri, l’economista 48enne professore della Bocconi (la madre di tutti i sapientoni), resta l’atteso salto di qualità della sua creatura multimediale: il sito internet LaVoce.info al quale da quattro anni dedica gran parte delle sue fatiche. Nel corso del 2006 il portale, divenuto il salotto dell¹intellighenzia riformista italiana. Ma per rafforzare la redazione servono oggi altri 75mila euro, che Boeri intende raccogliere attraverso la nuova campagna di sottoscrizione lanciata sul sito. La strada è lunga perché in due settimane sono entrati nelle tasche de LaVoce.info solo 2.500 euro, ma l’economista che indossa il girocollo con la disinvoltura del Grande Gatsby, non si scompone e conta di riscuotere presto un sostanzioso premio in termini di immagine con la nuova edizione del Festival di Trento, dedicata al tema "Capitale umano, capitale sociale". L'evento, che si terrà dal 31 maggio al 3 giugno 2007, si è già assicurato la presenza del premio Nobel Gary Becker. Un gioco da ragazzi per il Tom Cruise della Bocconi.
BRAGGIOTTI GERARDO

Non chiamatelo Braggiottino, perchè si offende. Ha 53 anni, un curriculum di prim'ordine e una rete di relazioni internazionali che vanno dalla City a Wall Street. Per l'ex-numero uno di Lazard il 2006 è stato l'anno dei pantaloni lunghi che ha mostrato costruendosi la sua banca. L'ex-rampollo d'arte, figlio di Enrico già presidente di Comit e consigliere di Mediobanca, ha messo in piedi qualcosa di più di una boutique finanziaria. Banca Leonardo è il sogno della sua vita che lo ha portato a occupare il 48esimo posto nella lista dei 100 uomini più influenti del capitalismo europeo. E' nato a Casablanca e nello sguardo severo conserva i tratti dei marocchini incazzati. A Milano dicono che se la tira in maniera spaventosa, ma a Torino è stimato e ben voluto. Grazie ai suoi buoni uffici la Sacra Famiglia degli Agnelli ha messo al sicuro il controllo della Fiat. Poca vita mondana, amici selezionati e un'irrefrenabile vocazione da primo violino. Nel suo dna c'è la stessa cultura severa di Matteo Arpe e Alberto Nagel, gli uomini con i quali è cresciuto a fianco di Cuccia e di Maranghi. Se ne parlerà ancora.
CARDIA LAMBERTO

Nella galleria dei gran commis di Stato occupa un posto di primo piano. Il magistrato di Tivoli dal 2003 è presidente della Consob, ma si porta sulle spalle un curriculum invidiabile. Dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Roma nel '58 è diventato magistrato della Corte dei Conti, poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Dini. E' sulla breccia da decenni e non c'è politico della Prima Repubblica che non lo abbia conosciuto e utilizzato. Il vero "padrino" di Cardia è sempre stato Giulio Andreotti, l'ombelico italiano del potere. Qualcuno lo ricorda accanto a Moro e al ministro dell'Agricoltura, Umberto Delle Fave, quello che un giorno alla Festa della Montagna pronunciò davanti a centinaia di studenti la celebre frase: "cari ragazzi, quando tra pochi anni queste piante saranno secolari...". Cardia ha dato una sferzata alla Consob che nel 2006 è entrata di punta nelle vicende più importanti della finanza italiana. A nominarlo in via Isonzo è stato Berlusconi, ma a dispetto delle voci che sono corse a dicembre su una possibile sostituzione, anche Prodi gli ha riconfermato la fiducia.
CATANIA ELIO
Per questo ingegnere elettronico che si chiama Catania ed è nato a Catania il 5 giugno 1946, è stato un anno da dimenticare. Non solo ha perso la carica di presidente e amministratore delegato delle Ferrovie, ma è diventato il simbolo dei neoboiardi che prima di essere liquidati ricevono un pacco di milioni. Quando arrivò nel palazzo-obitorio di Porta Pia, Catania fece l'elogio della cultura dell'efficientamento, un concetto raccapricciante che secondo la sua visione da ex-uomo Ibm avrebbe dovuto portare a "un'attenzione ossessiva per il cliente". Forse l'attenzione per il cliente è stata così esagerata da fargli dimenticare i bilanci dell'azienda sui quali è caduta la scure della politica. Senza tanti complimenti il Governo dell'Unione lo ha mandato a casa mettendogli in tasca 7 milioni di euro. Quando è uscito dalle Ferrovie si è trascinato un mare di polemiche per gli appalti che i suoi fedelissimi avevano assegnato (senza gara) all'Ibm, il primo amore della sua vita professionale.
CELLI PIER LUIGI

Dopo una brutta parentesi per malattia, i neuroni di Pier Luigi Celli hanno ripreso a girare vorticosamente. Il colpo d'ala del manager di Verrucchio (provincia di Rimini) è stato nel 2006 la pubblicazione del libro "Un anno nella vita". L'ha pubblicato l'editore Sellerio ed è un libretto pieno di ragionamenti sensati che fanno pelo e contropelo ai luoghi comuni della cultura aziendale. All'attività di scrittore il 64enne ex-direttore generale della Rai (dalla quale si divise con tre righe secche nel febbraio 2001) ha aggiunto una voglia irrefrenabile di rilanciare la Luiss, l'università di Confindustria. Il giochino accademico gli piace e gli fa dimenticare esperienze come quella al vertice di Ipse che hanno rappresentato una parentesi poco gratificante. Nel panorama dei manager italiani resta una delle poche teste pensanti.
CIMOLI GIANCARLO

Più che un uomo è un paradosso. La sua resistenza e l'attaccamento alla poltrona sono di tipo marmoreo come di marmo è il panorama di Filizzano, la località di Massa Carrara dove questo ingegnere chimico è nato nel dicembre del 1939. Dopo essersi laureato al Politecnico di Milano con il premio Nobel Giulio Natta, Cimoli ha fatto una lunga carriera nella chimica e nel '96 è stato chiamato da Prodi a dirigere le Ferrovie dello Stato. Secondo la ricostruzione del giornalista di "Repubblica" Marco Panara, in quell'epoca nessuno conosceva il suo nome. A tirarlo fuori sarebbe stato Guido Rossi che ne parlò con Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro. Da quel momento il sodalizio con Carletto è diventato di ferro e il manager riesce nel maggio del 2004 ad acciuffare la poltrona dell'Alitalia. Qui comincia il suo irresistibile declino. Prima di lui c'erano stati 13 amministratori delegati ma nessuno (a parte il fuggevole Zanichelli) è riuscito a tirarsi addosso tante polemiche. L'assenza di un piano industriale e la presenza al suo fianco di una corte affollata di belle donne, gli ha letteralmente distrutto l'immagine. Adesso il Governo sta decidendo sulla privatizzazione della Compagnia e l'esito della trattativa sarà decisivo per la sua sorte.
CIPOLLETTA INNOCENZO
Per l'economista romano il 2006 è stato un anno fortunato. Da quando ha deciso di non perdere più tempo a scrivere i discorsi per Luchino di Montezemolo, ha imboccato di corsa la strada del sottogoverno ed è salito sul treno delle Ferrovie. L'entità dello stipendio che percepisce dall'azienda non si conosce, ma è sicuramente inferiore a quella del suo predecessore Elio Catania. Di gran lunga superiore è invece l'abilità a muoversi nel Palazzo e a raccogliere i frutti delle fatiche trascorse sui libri. Con l'amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti è riuscito a stabilire una certa convivenza, e con il mondo di Confindustria conserva un rapporto solido in qualità di presidente della casa editrice del "Sole 24 Ore". Nel giugno scorso ha organizzato con successo il Festival dell'Economia che si è svolto a Trento, un'iniziativa che sarà replicata nel 2007, e che dovrebbe consentirgli di conservare il profilo di fine economista. In realtà il suo pensiero si è un po' arrugginito perchè ha perso la voglia di scrivere. Ha perso anche la carica di presidente di Ubs Corporate Finance Italia, ma il naso lungo e la testa fine lo candidano a navigare senza timore nel mare della politica.
COLAO VITTORIO

Da un lato la scuola degli alpini e il servizio come ufficiale nell’Arma dei Carabinieri; dall'altro, la laurea alla Bocconi (la madre di tutti i sapientoni), il master ad Harvard e la militanza McKinsey. Due volti dello stesso uomo che ha gestito il "Corriere della Sera" facendo affidamento sulle sue doti: la cultura dell'efficienza targata McKinsey con i manager e un'intransigenza quasi militare con i giornalisti. Un atteggiamento che ha tenuto fino all’estate scorsa, quando, complici la mancata acquisizione della francese Emap (conclusa invece dalla Mondadori) e i bassi margini di profitto della Casa editrice, Colao Meravigliao è stato sfiduciato dagli azionisti di Rcs Mediagroup e costretto a lasciare la carica di amministratore delegato. Per tutta risposta, il 45enne manager bresciano è tornato agli antichi amori. Dopo aver detto addio agli open space di via Solferino (tanto odiati dai giornalisti che non ha mai amato) Colao Meravigliao ha preso un aereo per Londra dove ad attenderlo c'era la poltrona di vicepresidente di Vodafone, il suo grande amore professionale. Gli resta il ricordo di un mondo che non ha capito come è quello dell'editoria, dove ha scoperto anche il brivido di un "baco informatico" dentro il computer.

(Continua...)


da: Dagospia

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