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03 settembre 2007

IN RICORDO DI UN “UOMO”: IL GENERALE DALLA CHIESA


Un uomo lasciato solo. Un governo infastidito dal suo lavoro troppo stringente nei confronti della mafia. Il ministro Rognoni non lo aiuterà.
Un altra stranezza? Il generale arrivato a Palermo cerca il deputato di riferimento in zona per avere maggiori informazioni ed un appoggio sicuro: Ciriaco De Mita.
Decine di telefonate cui l’on. De Mita non ha mai risposto. Solo, completamente solo.
Dalla Chiesa, seguito da cento occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di Palermo e circondato da molti onorevoli e notabili che mal nascondono una viva preoccupazione.
Andreotti non andò ai suoi funerali e a chi gli chiese il motivo dell’assenza rispose “preferisco andare ai battesimi”.
Atteggiamenti incomprensibili o forse molto comprensibili.

Il primo contatto con la vita militare è la dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre 1943.Passa nella provincia di Ascoli Piceno e un bel giorno viene affrontato da un partigiano comunista. I partigiani della zona temevano che lui fosse responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare.Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l'Italia o la Germania?", Dalla Chiesa risponde offrendo la sua collaborazione e per un certo periodo le cose filano a meraviglia. Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla Chiesa è meglio cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli altri patrioti: diventa un responsabile delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani.La guerra si chiude per lui con una promozione e due croci al merito di guerra, tre campagne di guerra, una medaglia di benemerenza per i volontari della II GM, il distintivo della guerra di liberazione ed una laurea in giurisprudenza conseguita a Bari. In quella stessa università prenderà più tardi la laurea in scienze politiche.La Sicilia che lo vede arrivare giovane capitano è immersa nel regno di terrore della mafia agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano Leggio (noto come Liggio). E' una mafia che poi verrà rievocata con nostalgia quando emergeranno nuovi e ferocissimi boss, ma in realtà era solo più arcaica, non meno spietata.Cosa Nostra ha stretto un patto di ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e socialisti.
E poi la lotta contro le Brigate Rosse.
Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di tutto. Dopo la cura del generale vengono fuori le cosiddette supercarceri la fuga dalle quali è praticamente impossibile. Si tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi, come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di massima sicurezza.
Successivamente (settembre 1978) assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra forze di polizia nella lotta al terrorismo. Dallas, come lo soprannominano affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale all'assalto non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le spalle dalle insidie dei palazzi romani. Quando riceve i pieni poteri per la lotta alle Brigate Rosse una stampa faziosa lo dipinge come un futuro uomo forte della scena politica italiana ed esprime anche qualche critica al figlio Nando "vicino" alla sinistra estrema mentre il padre la combatte.
Attua la sua contro-guerriglia urbana ,conseguendo prestigiosi successi, celebrati dalla stampa nazionale ed internazionale, arrestando i capi storici delle Brigate Rosse e contribuendo validamente a debellare il fenomeno in Italia."I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al mese".
Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice Comandante Generale dell'Arma.
Al suo fianco compare, dopo la morte dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima e decisa: Emanuela Setti Carraro.

Intanto l'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra la persona giusta per arrestarla ed ecco che il ministro Rognoni lo trasferisce ancora a Palermo per la lotta alla mafia.
E qui scopre la sua solitudine assoluta.
Malgrado tutto, nel giugno 1982 invia un rapporto, una vera mappa del crimine organizzato. Al vertice ci sono i Greco di Ciaculli, con attività a Tangeri e in Sud America. Insieme ad essi i Corleonesi, il clan di Corso dei Mille. I perdenti Inzerillo, Badalamenti, Bontade, Buscetta sono stati invece massacrati. E intanto indaga anche sui collegamenti tra mafia e politica.

Cosa Nostra però decide che è il momento di risolvere il problema.
Il 3 settembre 1982 trenta pallottole di kalashnikov falciano Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro mentre un altro killer liquida l'agente di scorta, Domenico Russo. IL Generale tenta di proteggere la moglie col suo corpo, ma il killer spara prima a lei.
Al funerale si sentiranno molte grida in favore della pena di morte. I politici intervenuti sono circondati, spintonati e colpiti con monetine.

Il 5 settembre arriva una telefonata anonima al quotidiano La Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa".





per la cronologia della carriera del Generale ringrazio il sito dell'Arma dei Carabinieri

2 commenti:

Sergio Rizzitiello ha detto...

Carlo Alberto Dalla Chiesa era un uomo che aveva tutte le carte in regola per combattere la mafia: irreprensibile, energico, volitivo, abile stratega e valente comandante. Aveva contribuito, con la sua azione repressiva, a sconfiggere il terrorismo, eppure,eppure ha fallito. Ma è stato sconfitto lui, la sua azione militare, oppure chi stava intorno a lui, non solo collaboratori, e nemmeno tanto i politici di Roma, e le loro propaggini a Palermo, ma la società civile che dalla mafia doveva essere salvata? Perchè i terroristi sono stati sconfitti da quest'uomo di ferro, e umano negli affetti, e triste nella sua solitudine finale, mentre la mafia lo ha sconfitto? La mafia è formata da mafiosi, ma anche il terrorismo da terroristi, però i mafiosi sono agganciati nella società, hanno radici sottili fatte di connivenza e complicità. Anche i terroristi suscitavano simpatie in alcuni ambienti, non solo extraparlamentari estremistici, anche borghesi ed intellettuali. La differenza la fa però il loro( dei terroristi) minore impatto con la cultura, con le ataviche tradizioni. Ma non è solo un diverso grado quantitativo, la mafia si differenzia dal terrorismo anche qualitativamente:l'una ha bisogno dello Stato per "succhiarlo", per incorporare le sue ricchezze, l'altro lo vuole abbattere per sostituirsi ad esso. La mafia è sì, un antistato, ma parallelo, non vuole sostituirsi ad esso, non vuole abbatterlo, ma solamente incorporarlo. L'azione del povero Dalla Chiesa era così segnata, sì, anche da politici superficiali, anche da colleghi invidiosi e infastiditi dal suo attivismo, ma soprattutto perchè il suo operare si scontrava con una cultura che alimentava la mafia e che aveva tutto l'interesse a mantenerla intatta. La sua solitudine finale è paradigmatica, non tanto per le persone che aveva intorno e lo avevano tradito, ma perchè chi combatte contro una forza aggregante uomini, cose, regole, ricchezze, potere, è sempre solo, dà fastidio, mette in crisi un mondo omai consolidato che così vuole affermarsi e continuare a vivere.

Anonimo ha detto...

Con la puntata finale de "Il generale Dalla Chiesa" ho potuto conoscere meglio,la figura della Sig.ra Emanuela Setti Carraro.
Per me è stata una grande emozione,da tempo infatti desideravo conoscere la persona che ha voluto essere al fianco del marito,il Generale Dalla Chiesa,fino all'ultimo.Per questo vorrei dire grazie,grazie di cuore a Emanuela Setti Carraro per tutto.