"Antonio Di Pietro ci ha delusi. Ha trascurate tantissimo le donne, considerandole figlie di un dio minore". Wanda Montanelli, responsabile Pari Opportunità dell'Idv, sceglie Affaritaliani.it per denuciare la discriminazione all'interno del partito. "Alle elezioni politiche del 2006 né io né le donne del partito che si aspettavano una degna candidatura furono messe in testa di lista e iniziai il primo sciopero della fame. Di Pietro mi scrisse e mi mandò a casa un cesto di fiori chiededomi di interromperlo. Quella di Di Pietro era stata solo una tattica a scopo mediatico. Tanto è vero che mi chiese di pubblicare la sua lettere sul mio blog e di lanciarla alle agenzie stampa".
Le donne in politica vengono discriminate?
"Sì. Salvo alcuni partiti in cui emerge una maggiore democraticità. La mia esperienza è però all'interno dell'Italia dei Valori dove ho speso oltre dieci anni della mia vita. Di questa esperienza posso parlare con cognizione di causa"
Ci racconti la sua esperienza da ex responsabile donne dell'Idv.
"Da responsabile del partito il mio lavoro ha abbracciato più campi. Sono stata nel movimento Di Pietro sin dall'inizio perché, come molti altri iscritti, abbiamo creduto di poter iniziare un nuovo corso e fondare un partito in cui la trasparenza, la democraticità, la correttezza, le pari opportunità fossero al primo posto. Ho avuto molti incarichi nel partito, tutti svolti gratuitamemente: dal condurre i due uffici stampa di Roma e Lazio, dall'incarico nazionale di Responsabile della Consulta delle Donne e poi del Dipartimento Pari Opportunità, alla fondazione dell'organo di stampa ufficiale Idv "Orizzonti nuovi", all'organizzazione della prima festa nazionale Idv, alla partecipazione ai tavoli per scrivere il programma del governo Prodi, o quello per le elezioni europee. Mi preme dire però che il settore pari opportunità l'ho organizzato a partire dal 1998 e abbiamo creato una rete di donne in tutt'Italia andando in giro regione per regione con un camper, per poter conoscere da vicino le referenti di zona del partito e insieme a loro lavorare seriamente al programma per il cambiamento in meglio della società".
Anche l'Idv discrimina le donne? Quali responsabilità ha o ha avuto Antonio Di Pietro?
"Antonio Pietro ha la responsabilità di averci fatto credere che si poteva progettare una politica diversa, realmente vicina ai bisogni delle persone, un luogo speciale in cui tutti potessero apportare contributi secondo il proprio talento con competenza e motivazione. Invece ci ha delusi. Ha fatto delle scelte nell'organizzare le candidature sin dalle politiche del 2006, che portavano in parlamento persone "estranee" al partito, talvolta nemmeno iscritte o che non sapevano addirittura i principi fondanti dello statuto e del programma Idv. Le donne le ha trascurate tantissimo, considerandole figlie di un dio minore"
Ovvero?
"Si è avvalso proprio della componente femminile per mandare avanti tanti settori vitali del movimento. Dall'organizzazione di eventi, al grande contributo per i referendum, alla conduzione di uffici importanti come quelli della comunicazione, ecc. Alle elezioni politiche del 2006 su 25 Parlamentari solo una donna dell' Idv fu eletta alla Camera dei deputati. Al Senato invece fu premiata Franca Rame che non era mai stata un giorno con l'Italia dei Valori. Persona stimabilissima, ma comunque non si capiva che cosa la legasse al partito che noi avevamo costruito sin dalle fondamenta. Già da allora quando mi accorsi che né io né le donne dell' Idv che si aspettavano una degna candidatura furono messe in testa di lista, iniziai il primo sciopero della fame. In un partito piccolo candidare le donne e metterle in lista al terzo, settimo, ventesimo posto non ha senso, perché solo chi sta a capo degli elenchi elettorali ha la possibilità di essere eletta".
E come andò a finire?
"In quella fase dopo 24 giorni di sciopero mi scrisse Prodi per dirmi che avevo ragione, poi mi scrisse Di Pietro e mi mandò a casa un cesto di fiori chiededomi di interrompere lo sciopero della fame. Intanto era nato il "Comitato per Wanda Montanelli" e successivamente l'Onerpo (Osservatorio Nazionale ed Europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità). Le donne del Comitato, che tra l'altro facevano lo sciopero della fame a staffetta, si irritarono perché non ritenevano che "quattro rose e una lettera" potessero risolvere il problema delle opportunità negate. Io invece accettai di smettere la lotta non violenta, ma mi accorsi dopo poco che avevano ragione loro. Quella di Di Pietro era stata solo una tattica a scopo mediatico. Tanto è vero che mi chiese di pubblicare la sua lettere sul mio blog e di lanciarla alle agenzie stampa. Nel settembre successivo alla "Festa dei Valori" di Vasto le donne non ebbero il diritto di parola sul palco. Ne nacque una dura manifestazione delle dirigenti del partito che dalle Alpi alle Piramidi, dalla Sardegna, al Molise, chiedevano il mio intevento per fare un'assemblea permanente sul posto. Prenotai una sala dell'hotel che ci ospitava e la occupammo. Ne venne fuori un documento da dare alla stampa in cui definivamo quel convegno di partito "Assemblea talebana". Poi Leoluca Orlando ci venne a parlare, ci presentò delle promesse. Noi scrivemmo un verbale e rinunciammo all'occupazione e all'assemblea autogestita. Tutto questo è ben documentato sul libro di Alberico Giostra "Il Tribuno" nella pagina in cui scrive "tuttavia a nessuno è capitato quello che è toccato a Wanda Montanelli"
Ci fu anche un altro suo sciopero della fame.
"L'altro sciopero della fame fui costretta a farlo nel 2008, in cui se è possibile, le condizioni per le donne peggiorarono addirittura. Arrivai a 42 giorni di digiuno e lotta non violenta interrotta dopo una lettera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sostenuta anche in quella occasione da alcune donne meravigliose come Aura Nobolo, Daniela Brancati, Giselda Lagostena, la cui madre Tina è stata a me vicino in molte occasioni di lotta per la parità. E con donne Idv come Francesca Costa e Anna Rossi che da sempre coordinano con me le manifestazioni contro la discriminazione".
Le quote rosa sono la soluzione per tutelare le donne in politica e non solo.
"Le quote rosa non sono la via adatta, a mio parere, per aprire la politica alle donne. Sarebbe sufficiente seguire gli articoli 3, 2, e 51 della Costituzione italiana e non porre davanti al percorso delle donne ostacoli enormi come massi (chiamati suggestivamente muri di gomma o soffitti di cristallo). Noi diciamo che a parità di merito e di competenze le donne devono progredire al pari degli uomini. Invece avviene il contrario. Le quote rosa sono un mezzo attraverso il quale si dovrebbe fare spazio alle donne più serie, meritevoli e capaci, invece si rivelano spesso uno strumento per dare posti in parlamento o assessorati alle mogli, alle amiche, amanti o parenti prossime. Quindi ci si ritorcono contro perché noi non stiamo facendo da dieci anni la lotta per creare opportunità alle escort. Nella causa spieghiamo tutto questo, e chiediamo conto anche dei fondi della Legge 157/99 art.3 che non sono mai stati messi a disposizione delle donne. L'udienza è a Milano il 30 giugno, giudice Paola Maria Gandolfi".
p.s.
Wanda Montanelli ha portato in tribunale Di Pietro per il mancato versamento dei rimborsi elettorali. Il 30 giugno prossimo, i legali delle parti dovranno comparire davanti al giudice Paola Gandolfi del Tribunale di Milano.
Risulta infatti dalle carte che il partito abbia versato 600mila euro per “la promozione della partecipazione delle donne alla politica”, soldi che sarebbero spettati al Dipartimento guidato dalla Montanelli. Ma nessuno li ha visti quei soldi, né la Montanelli, né le responsabili regionali e provinciali del Dipartimento.
Le donne in politica vengono discriminate?
"Sì. Salvo alcuni partiti in cui emerge una maggiore democraticità. La mia esperienza è però all'interno dell'Italia dei Valori dove ho speso oltre dieci anni della mia vita. Di questa esperienza posso parlare con cognizione di causa"
Ci racconti la sua esperienza da ex responsabile donne dell'Idv.
"Da responsabile del partito il mio lavoro ha abbracciato più campi. Sono stata nel movimento Di Pietro sin dall'inizio perché, come molti altri iscritti, abbiamo creduto di poter iniziare un nuovo corso e fondare un partito in cui la trasparenza, la democraticità, la correttezza, le pari opportunità fossero al primo posto. Ho avuto molti incarichi nel partito, tutti svolti gratuitamemente: dal condurre i due uffici stampa di Roma e Lazio, dall'incarico nazionale di Responsabile della Consulta delle Donne e poi del Dipartimento Pari Opportunità, alla fondazione dell'organo di stampa ufficiale Idv "Orizzonti nuovi", all'organizzazione della prima festa nazionale Idv, alla partecipazione ai tavoli per scrivere il programma del governo Prodi, o quello per le elezioni europee. Mi preme dire però che il settore pari opportunità l'ho organizzato a partire dal 1998 e abbiamo creato una rete di donne in tutt'Italia andando in giro regione per regione con un camper, per poter conoscere da vicino le referenti di zona del partito e insieme a loro lavorare seriamente al programma per il cambiamento in meglio della società".
Anche l'Idv discrimina le donne? Quali responsabilità ha o ha avuto Antonio Di Pietro?
"Antonio Pietro ha la responsabilità di averci fatto credere che si poteva progettare una politica diversa, realmente vicina ai bisogni delle persone, un luogo speciale in cui tutti potessero apportare contributi secondo il proprio talento con competenza e motivazione. Invece ci ha delusi. Ha fatto delle scelte nell'organizzare le candidature sin dalle politiche del 2006, che portavano in parlamento persone "estranee" al partito, talvolta nemmeno iscritte o che non sapevano addirittura i principi fondanti dello statuto e del programma Idv. Le donne le ha trascurate tantissimo, considerandole figlie di un dio minore"
Ovvero?
"Si è avvalso proprio della componente femminile per mandare avanti tanti settori vitali del movimento. Dall'organizzazione di eventi, al grande contributo per i referendum, alla conduzione di uffici importanti come quelli della comunicazione, ecc. Alle elezioni politiche del 2006 su 25 Parlamentari solo una donna dell' Idv fu eletta alla Camera dei deputati. Al Senato invece fu premiata Franca Rame che non era mai stata un giorno con l'Italia dei Valori. Persona stimabilissima, ma comunque non si capiva che cosa la legasse al partito che noi avevamo costruito sin dalle fondamenta. Già da allora quando mi accorsi che né io né le donne dell' Idv che si aspettavano una degna candidatura furono messe in testa di lista, iniziai il primo sciopero della fame. In un partito piccolo candidare le donne e metterle in lista al terzo, settimo, ventesimo posto non ha senso, perché solo chi sta a capo degli elenchi elettorali ha la possibilità di essere eletta".
E come andò a finire?
"In quella fase dopo 24 giorni di sciopero mi scrisse Prodi per dirmi che avevo ragione, poi mi scrisse Di Pietro e mi mandò a casa un cesto di fiori chiededomi di interrompere lo sciopero della fame. Intanto era nato il "Comitato per Wanda Montanelli" e successivamente l'Onerpo (Osservatorio Nazionale ed Europeo per il Rispetto delle Pari Opportunità). Le donne del Comitato, che tra l'altro facevano lo sciopero della fame a staffetta, si irritarono perché non ritenevano che "quattro rose e una lettera" potessero risolvere il problema delle opportunità negate. Io invece accettai di smettere la lotta non violenta, ma mi accorsi dopo poco che avevano ragione loro. Quella di Di Pietro era stata solo una tattica a scopo mediatico. Tanto è vero che mi chiese di pubblicare la sua lettere sul mio blog e di lanciarla alle agenzie stampa. Nel settembre successivo alla "Festa dei Valori" di Vasto le donne non ebbero il diritto di parola sul palco. Ne nacque una dura manifestazione delle dirigenti del partito che dalle Alpi alle Piramidi, dalla Sardegna, al Molise, chiedevano il mio intevento per fare un'assemblea permanente sul posto. Prenotai una sala dell'hotel che ci ospitava e la occupammo. Ne venne fuori un documento da dare alla stampa in cui definivamo quel convegno di partito "Assemblea talebana". Poi Leoluca Orlando ci venne a parlare, ci presentò delle promesse. Noi scrivemmo un verbale e rinunciammo all'occupazione e all'assemblea autogestita. Tutto questo è ben documentato sul libro di Alberico Giostra "Il Tribuno" nella pagina in cui scrive "tuttavia a nessuno è capitato quello che è toccato a Wanda Montanelli"
Ci fu anche un altro suo sciopero della fame.
"L'altro sciopero della fame fui costretta a farlo nel 2008, in cui se è possibile, le condizioni per le donne peggiorarono addirittura. Arrivai a 42 giorni di digiuno e lotta non violenta interrotta dopo una lettera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sostenuta anche in quella occasione da alcune donne meravigliose come Aura Nobolo, Daniela Brancati, Giselda Lagostena, la cui madre Tina è stata a me vicino in molte occasioni di lotta per la parità. E con donne Idv come Francesca Costa e Anna Rossi che da sempre coordinano con me le manifestazioni contro la discriminazione".
Le quote rosa sono la soluzione per tutelare le donne in politica e non solo.
"Le quote rosa non sono la via adatta, a mio parere, per aprire la politica alle donne. Sarebbe sufficiente seguire gli articoli 3, 2, e 51 della Costituzione italiana e non porre davanti al percorso delle donne ostacoli enormi come massi (chiamati suggestivamente muri di gomma o soffitti di cristallo). Noi diciamo che a parità di merito e di competenze le donne devono progredire al pari degli uomini. Invece avviene il contrario. Le quote rosa sono un mezzo attraverso il quale si dovrebbe fare spazio alle donne più serie, meritevoli e capaci, invece si rivelano spesso uno strumento per dare posti in parlamento o assessorati alle mogli, alle amiche, amanti o parenti prossime. Quindi ci si ritorcono contro perché noi non stiamo facendo da dieci anni la lotta per creare opportunità alle escort. Nella causa spieghiamo tutto questo, e chiediamo conto anche dei fondi della Legge 157/99 art.3 che non sono mai stati messi a disposizione delle donne. L'udienza è a Milano il 30 giugno, giudice Paola Maria Gandolfi".
p.s.
Wanda Montanelli ha portato in tribunale Di Pietro per il mancato versamento dei rimborsi elettorali. Il 30 giugno prossimo, i legali delle parti dovranno comparire davanti al giudice Paola Gandolfi del Tribunale di Milano.
Risulta infatti dalle carte che il partito abbia versato 600mila euro per “la promozione della partecipazione delle donne alla politica”, soldi che sarebbero spettati al Dipartimento guidato dalla Montanelli. Ma nessuno li ha visti quei soldi, né la Montanelli, né le responsabili regionali e provinciali del Dipartimento.
Nessun commento:
Posta un commento