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23 giugno 2006

PERCHE' VOTARE "SI" IL 25 GIUGNO

Siccome una vittoria del No può arrestare il consolidamento del bipolarismo e dimezzare il numero degli italiani che si riconoscono nella Carta del 1948, il professor Angelo Panebianco voterà Sì al referendum sulla riforma costituzionale del centrodestra. Lui ha già spiegato le ragioni della propria scelta sul Corriere della Sera, quotidiano di cui è editorialista. Insieme con alcuni costituzionalisti, ha pure firmato un appello che illustra la necessità di rafforzare il ruolo dell’esecutivo, superare il bicameralismo indifferenziato e mettere a punto il rapporto tra stato e regioni. Interpellato dal Foglio, Panebianco volge ora la riflessione sulla cultura politica e sulle ragioni di chi, a vario grado, nel fronte di centrosinistra, impegna le proprie forze affinché la riforma venga obliterata nelle urne. “Intanto c’è da distinguere tra due posizioni – esordisce – la prima è rappresentata da costituzionalisti come Augusto Barbera e Stefano Ceccanti i quali, profondamente insoddisfatti dell’attuale Costituzione, voteranno No perché non condividono le soluzioni contenute nella riforma dell’ex maggioranza. Le loro sono obiezioni di carattere tecnico”. Sono una parte minoritaria di coloro che votano No, “ma lo fanno da un punto di vista dialogante, attento agli aspetti di merito”. Agli occhi del politologo Panebianco la parte “più interessante del fronte sono gli organizzatori del referendum: rappresentano il mainstream ed esprimono gli argomenti più emblematici”. Se andiamo a vedere questi argomenti – suggerisce Panebianco – “scopriamo che solo marginalmente toccano gli aspetti tecnici della questione, perché su questi prevale l’attacco ideologico”. Un attacco che si concentra quasi interamente sul premierato. “E’ qui che si manifesta la grande divisione politica e culturale”. Il rafforzamento del premier viene tacciato di autoritarismo. “Viene raffigurato come un meccanismo eversivo che riduce drasticamente il ruolo del Parlamento e viola i principi fondamentali della Costituzione. Il ragionamento dei fautori del No è il seguente: il centrodestra modifica, sì, soltanto la seconda parte del testo costituzionale ma in questo modo colpisce al cuore anche la prima parte e perciò la Carta nel suo insieme”. Per Panebianco l’accusa di eversione nasce da due cause di fondo. “Una è la difesa di un modello che prevede un governo debole rispetto al Parlamento. Un modello che viene da lontano nella tradizione italiana, dallo Statuto albertino alla Carta del 1948, si fonda sull’idea che un primo ministro forte sia assimilabile alla figura del dittatore e pretende che le mediazioni politiche vengano realizzate solo in Parlamento”.L’effetto delegittimanteL’altra fonte storica del dissenso referendario più radicale e allarmista “è nell’idea dominante fra i cattolici di sinistra, ma in parte nei Ds, secondo la quale sostanzialmente la Costituzione possa essere riformata solo da loro. Perché loro si considerano unici eredi dei costituenti e chiunque altro osi mettere mano alla Carta viene giudicato un estraneo che s’intromette in un territorio non di sua competenza. In sintesi si può definire una concezione proprietaria della Costituzione. La Costituzione l’abbiamo fatta noi, ovvero i padri dei quali siamo eredi, quindi solo noi siamo in grado di dire ciò che è legittimo o illegittimo riformare senza violarne i principi fondamentali”. Ecco il motivo invalicabile per il quale una vittoria del No renderebbe impossibile un percorso di riforme costituzionali condiviso: “Accusare di eversione gli autori del progetto di riforma, negare loro un diritto d’intervento, significa contraddire nei fatti ciò che si afferma a parole. Perché gli eversori sono per definizione infrequentabili. Non posso accusarti d’essere un traditore dei principi costituzionali e il giorno dopo chiederti di sederti con me per riformare la Costituzione”. C’è un altro elemento decisivo da illuminare in conclusione: “Una volta stabilito questo, si rischia un effetto delegittimante nei riguardi della Carta. Perché se gli ‘eversori’ sono i rappresentanti di una bella fetta d’Italia, e nel caso della Cdl possiamo parlare della metà, con la vittoria del No la vecchia Costituzione rimane rappresentativa soltanto per la seconda metà del paese”. “Operazione pericolosa”, dice Panebianco, alla quale alcuni dirigenti diessini si piegano con poca motivazione – “D’Alema era un sostenitore del premierato” – ma a cui si dedica convinta “l’ala marciante dei dc di sinistra che considerano la Cdl un’usurpatrice della centralità democristiana. E che si oppongono al superamento della Costituente del ’48 perché in questo identificano il presupposto per la nascita di un normale centrosinistra e un normale centrodestra”.

il Foglio, 22 giu 2006

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